Si può raggiungere Carceri, partendo da Este, immettendosi nella statale che va a Badia Polesine. Da questa si devia di pochi chilometri per portarsi alla località. Essa è indicata dal grande complesso abbaziale di Santa Maria delle Carceri che, pur essendo alquanto discosto dal paese, gli dà un tono inconfondibile.
La chiesa dell’ex monastero è la parrocchiale, mentre le altre strutture sono state, in parte, destinate ad organismi locali. L’antico centro, nominato spesso nei documenti assieme a quello di Vighizzolo, veniva individuato con il nome di “Gazzo“, un toponimo comune longobardo, per significare “bosco”. Una delle vie principali porta ancora questo nome. Sempre con questa indicazione si trova nominato fino alla fine del Settecento ed oltre.
Forse dopo l’unione del Veneto all’Italia, si pensò di sostituirlo con quello di Carceri, o per legarlo a quello della famosa abbazia, o per distinguerlo dai molti altri “Gazzo“. L’antico paese aveva molte proprietà comunali, verso le valli che circondavano la grande palude, detta “Lago di Vighizzolo“. Questo è attestato negli atti processuali in materia di proprietà comunali, tra Este e la comunità e negli accordi di divisione tra i possedimenti degli Estensi e quelli di Gazzo, datati al 22 novembre ed al 6 dicembre 1204.
Gli uomini di Gazza e quelli di Vighizzolo ricevettero pure investiture dal marchese Nicolò di Ferrara e dai marchesi padovani estensi Francesco e Taddeo, nel 1424, su terreni vallivi e sulle paludi.
Il monastero di Santa Maria delle Carceri
L’ingresso primitivo dell’abbazia è rappresentato da un insieme, articolato nella torre piccionaia, nell’arco di passaggio, nell’abitazione del “custode del ponte” e nel granaio-spedale.
Sopra l’arco del portone d’ingresso, un capitello gotico con un quadro della Madonna. Caratteristica è pure la meriatura ghibellina. Sempre sopra l’arco d’ingresso, dalla parte opposta, si apre una graziosa loggetta a quattro archi. Il granaio-spedale attira l’attenzione, sia per la mole, sia per lo stemma camaldolese e la stella benedettina, scolpiti in pietra di Nanto, posti sul timpano. La chiesa, che nella visita vescovile del 30 ottobre 1489 era descritta a tre navate, fu distrutta da un incendio nel 1643. Si salvarono soltanto alcune parti che costituiscono l’odierna sacrestia. Fu ricostruita nel 1686 in stile barocco. Si conservano interessanti affreschi di varie epoche e tele di notevole interesse artistico.
La canonica è una tipica villa veneta. Essa andò in parte ad occupare i vecchi fabbricati del monastero. Molto discutibile è il significato del toponimo, che, secondo la tradizione locale, si vorrebbe derivato da “càlzare“, alludendo ai calzari dei monaci. Molto probabilmente, escludendo alcune etimologie fantasiose, ha ragione il Cittadella, che lo vorrebbe accostare al “serraglio” per il bestiame.
Da ammirarsi l’antico chiostrino – ne rimane soltanto un’ala – elegantissimo esempio di romanico, pregevole per la disposizione del colonnato. Più tarda è la sovrastruttura muraria. Nel cortiletto, che doveva essere limitato dal chiostrino, si può ancora osservare una vasca scavata in un pezzo monolitico di marmo. Discosto dalla chiesa, addossato a quello che doveva essere il perimetro del chiostrino, passando sotto un ampio arco, si presenta il chiostro cinquecentesco camaldolese, con una armonica prospettiva. Il peristilio, a pianta quasi rettangolare, è delineato da archi a tutto sesto, sostenuti da colonne, in pietra d’Istria, poggianti su un muricciolo.
AI centro del chiostro, s’impone un monumentale pozzo in marmo rosso di Verona, portante alla sommità dell’arco lo stemma, sempre marmoreo, dei camaldolesi.
Villa Pelà
La villa venne iniziata nel 1915 ed ultimata nel 1921 e presenta tipologie e caratteristiche costruttive proprie dell’epoca (stile Liberty).
In origine fu adibita a palazzo residenziale, dono della famiglia Pelà alla famiglia Carminati in seguito al matrimonio tra due componenti delle famiglie stesse. In realtà fu utilizzata come luogo di abitazione solo per poco tempo in quanto la sposa morì ed il marito non volle più utilizzare l’abitazione. In seguito il fabbricato venne donato al Comune dalla stessa famiglia Carminati. Dal 1960 è stata adibita a sede municipale e parzialmente ad uffici postali. Nell’anno 2006 è stata parzialmente ristrutturata.
La villa è visitabile solamente dall’esterno.
Villa Carminati
Sorta come residenza del padre Superiore dei Monaci Portuensi e poi dei camaldolesi. Dal 1693 diventa proprietà dei con Carminati ed assume la funzionalità di una villa di campagna. La facciata a nord è caratterizzata da tre ordini di finestre e presenta al centro un grande portone d’ingresso culminante da un volume mansardato e finestrato con timpano finale. L’ingresso è caratterizzato dalla rappresentazione di due stemmi, uno è lo stemma Camaldolese con due colombe, i cenobiti e gli eremiti, che si abbeverano allo stesso calice (Cristo); l’altro è lo stemma dei Carminati, un’aquila a due teste sopra un carro agricolo, colmo di spighe,indice della trasformazione del monastero in azienda agricola da parte degli ultimi proprietari. Il lato ovest è accostato al chiostrino romanico ed alla attuale chiesa seicentesca. All’interno da una solenne sala d’ingresso dipartono quattro porte laterali che conducono alle 38 stanze del palazzo. Sul lato opposto all’entrata una porta grande si affaccia sul giardino.
Il secondo piano è il mezzanino per la servitù, con stanze piccole e basse, alle quali si accedeva tramite una scala secondaria. Il piano superio era per la notte: con stanze molto alte e tutte affrescate; i pavimenti in alcune stanze sono in legno di noce lavorato ed intarsiato. In una delle stanze è affrescata la samaritana” del Salviati. Ora la villa è sede della canonica parrocchiale, visitabile solamente dall’esterno con relativi giardini.
Contatti
Presidente: Luigi Lollo
Indirizzo: Via Roma, 35
35040 Carceri (PD)
Cell: +39 380 185887
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